FILM, il mondo del cinema su Zlatan is Zlatan

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CR7_Style
view post Posted on 7/12/2011, 12:06     +1   -1




CITAZIONE (Benno™ @ 7/12/2011, 00:51) 
grande attore Owen Wilson

idolo!
 
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.LeoPinto
view post Posted on 2/1/2012, 21:04     +1   -1




The Tourist

Thriller, durata 105 min. - USA, Francia 2010

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Frank Tupelo è un professore di matematica del Wisconsin, diretto in Italia per dimenticare una delusione d’amore. Elise è una donna del mistero, bellissima e controllata dalla polizia internazionale. Elise farà di Frank il suo ospite, nella meravigliosa suite di un hotel veneziano, avvolgendolo volontariamente in una rete di pericoli, inseguimenti e appuntamenti al buio.
Il debutto sul grande schermo della coppia Johnny Depp – Angelina Jolie è casto e giocherellone, non concede nulla allo scandalo, forse proprio per lasciarlo fuori, nel possibile, nell’indicibile. Una curiosa strategia, di cui fa le spese il film, specie al confronto con il surriscaldato Mr. & Mrs. Smith, cui non è affatto estraneo.
Il regista Florian Henckel von Donnersmarck dimentica di aver mai girato Le vite degli altri e vuol farci credere di essersi divertito a scorazzare in motoscafo dietro una statuaria Jolie (quasi di cera) e un Depp in modalità Charlot, ma le altalenanti fasi preproduttive del film ci permettono di essere sospettosi al riguardo. Si sgombri pure il campo, invece, da pregiudizi autocommiseratori sulla compagine d’interpreti italiani, che se la cava benissimo: tutti in parte ma senza calcare sul clichè, come capita invece nell’intro parigino, dove ci si aspetta da un momento all’altro di veder inciampare Clouseau.
Magari. Lo stile a cui si ambisce è infatti quello delle commedie giallorosa d’altri tempi, un po’ Caccia al Ladro un po’ Sciarada, ma con l’accortezza di non prendersi troppo sul serio, di sporcarsi di comico (quanto involontario non si sa) e di scopiazzare il genere Bond. Il problema è che il film confonde l’eleganza di fattura con l’eleganza di personaggi e ambienti, occupandosi di quest’ultima e immolando drasticamente la prima. L’uso della musica è controproducente da cima a fondo (per non dir di peggio), molte scene sembrano scritte da un neofita (ancora il sarto? Ancora lo sbirro nell’acqua? Il bacio apposta sul balcone?) e quelle d’azione potrebbero tranquillamente non definirsi tali.
Ad un certo punto, un punto ben inoltrato, si arriva anche a divertirsi, ma è un godimento di secondo livello, quello di quando hai capito tutto da subito e attendi conferma, apprezzando le ambiguità della recitazione e i pochissimi movimenti furbi della scrittura. Intrattiene, questo sì, dunque fa il suo mestiere, al minimo sindacale.
Non lo si imputi alla presenza di (un bravo) De Sica o di Frassica o di Raul Bova, ma The Tourist, in fondo, è un cinepattone; dolce il giusto, non volgare, internazionale, ma pur sempre un cinepanettone.

 
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.LeoPinto
view post Posted on 7/1/2012, 00:32     +1   -1




Almanya - La mia famiglia va in Germania

locandina

Dopo aver lavorato per 45 anni come operaio ospite ("Gastarbeiter") Hüseyin Yilmaz, annuncia alla sua vasta famiglia di aver deciso di acquistare una casetta da ristrutturare in Turchia. Vuole che tutti partano con lui per aiutarlo a sistemarla. Le reazioni però non sono delle più entusiaste. La nipote Canan poi è incinta, anche se non lo ha ancora detto a nessuno, e ha altri problemi per la testa. Sarà però lei a raccontare al più piccolo della famiglia, Cenk, come il nonno e la nonna si conobbero e poi decisero di emigrare in Germania dall'Anatolia.
Esiste ormai nel cinema contemporaneo dai tempi di East is East un modello di narrazione che potremmo definire "commedia sull'integrazione". Di solito si tratta di una famiglia di immigrati che risiede all'estero da tempo e che è ormai abbastanza ampia da consentire la compresenza della prima generazione con quella di figli e/o nipoti nati su suolo straniero. Almanya aderisce pienamente al modello senza particolari originalità se non per la caratteristica (determinante) di scegliere come proprio soggetto una famiglia turca. Come è noto la nazione che in Europa ospita il maggior numero di turchi è proprio la Germania. I dati statistici ci dicono che su 82 milioni di abitanti i turchi costituiscono un'entitàdi circa 1.7 milioni di persone legalmente residenti. I problemi legati all'integrazione non sono sicuramente mancati. Di recente però, grazie anche all'opera di Fatih Akin, il cinema tedesco ha prodotto film che costituiscono un ponte fra le due culture.
Mancava però la commedia generazionale che prende le mosse, grazie all'escamotage della narrazione al piccolo di famiglia, da come il nonno fosse giunto come milionesimoeuno emigrante nella Germania del boom economico. Si sviluppa così una sorridente alternanza tra un passato di difficoltà e una progressiva crescita operosa. L'idillio prevale sui contrasti ma l'ironia non manca. Così come viene descritta con una molteplicità di sfaccettature la figura del nonno pronto ad integrarsi al suo arrivo ma ora assolutamente disinteressato ad acquisire la nazionalità tedesca caparbiamente voluta e ottenuta dalla moglie. Soprattutto nella parte finale il film (che invece regge bene il ritorno in Turchia con acute osservazioni sui pregiudizi) non riesce a sfuggire a un po' di retorica al glucosio che finisce con il nuocergli più che portargli vantaggi.
Questo però non inficia la resa complessiva di un'opera divertente che consente anche ai non esperti di storia e società tedesche di divertirsi e (magari, perché no?) di fare anche produttivi paragoni con situazioni italiche passate e presenti.

 
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.LeoPinto
view post Posted on 11/1/2012, 16:09     +1   -1




J. Edgar

Biografico, durata 137 min. - USA 2011

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Nominato capo dell'FBI dal Presidente Calvin Coolidge, J. Edgar Hoover è un giovane uomo ambizioso nell'America proibizionista. Figlio di un padre debole e di una madre autoritaria, Edgar è ossessionato dalla sicurezza del Paese e dai criminali che la minacciano a suon di bombe e volantini. Avviata una lotta senza esclusione di colpi contro bolscevichi, radicali, gangster e delinquenti di ogni risma, il direttore federale attraversa la storia americana costruendosi una reputazione irreprensibile e inattaccabile. A farne le spese sono i suoi nemici, reali o supposti, tutti ugualmente ricattabili dai dossier confidenziali raccolti, archiviati e custoditi da Helen Gandy, fedele segretaria che rifiutò il suo corteggiamento e ne sposò la causa. Quarantotto anni di ‘azioni' (il)legali, otto presidenti e un sentimento dissimulato dopo, quello per il collaboratore Clyde Tolson, Edgar detterà la sua biografia e le sue imprese: la rivoluzione investigativa, la consolidazione del Bureau, la ‘deportazione' dei comunisti, la cattura di John Dillinger e George Kelly, le indagini lecite sui rapitori di Baby Lindbergh e quelle illecite sulle Pantere Nere o sul Movimento per i Diritti Civili di Martin Luther King. Una vita romanzata e smascherata al tramonto dalla coscienza di Tolson e dall'incoscienza del peggiore dei presidenti.
Il mondo è imperfetto e Clint Eastwood lo ribadisce ogni volta che può. Ad essere perfetto è il suo sguardo sul mondo, dove ancora una volta un criminale 'rapisce' un bambino e dove il bambino scomparso diventa l'immagine dell'innocenza di un Paese sulla soglia di una crisi. In J. Edgar, come in Changeling, a una mamma viene sottratto il figlio e la polizia è incapace di porvi rimedio. A indagare ci pensa lo zelante Edgar Hoover, ansioso di accreditare il valore dell'FBI e di raggiungere la notorietà, a cui ha sacrificato affetti e vita privata. Perché Edgar è un disadattato ossessionato dalla carriera e dalla conservazione del ruolo, che fa giustizia dei criminali e assicura alla giustizia il presunto colpevole del primo kidnapping della storia americana. Ma Edgar è pure la protervia del potere poliziesco e politico contro cui combatteva la madre ostinata di Angelina Jolie, è il distintivo che giustifica qualsiasi nefandezza, intercettazione, pestaggio, è l'uomo che spia, imbroglia e ricatta amici e avversari, è l'America paranoica che combatte i propri nemici diventando come loro e che disarma i 'radicali' impugnando le armi del terrore e condannandosi a morte. Edgar Hoover secondo Eastwood è ancora il più grande talento recitativo nazionale, il protagonista di un racconto che affonda le sue radici nei miti fondativi della cultura e dell'immaginario americano. È il doppio di James Cagney, interprete di un G-Man e di un cinema che celebra i metodi scientifici dell'FBI e l'abnegazione dei suoi agenti contro il nemico pubblico, incarnato dallo stesso attore e incarnazione di un individualismo gangsteristico senza futuro. Leonardo DiCaprio, già interprete per Scorsese di una megalomane icona del sogno americano (The Aviator), presta il volto e la ‘maschera' a un uomo distaccato che concepisce ogni relazione come una partita a carte, abituato a soffocare ogni passione e attento a evitare di compromettersi con le donne e con la vita. Eastwood lo chiude in un limbo di sentimenti raggelati lungo il contraddittorio confine tra legalità e illegalità, lasciando che lo spettatore, nel modo del cecchino di Un mondo perfetto, 'spari' su quello che crede di aver visto negli andirivieni cronologici. Nel percorso di imbruttimento, invecchiamento e corruzione a cui il regista sottopone il protagonista, si inserisce con un bacio rubato e un ballo mancato un inedito sentimento di pietas che inverte la direzione del film. Se Changeling avviava una storia d'amore che si faceva politica nel suo svilupparsi, J. Edgar impone il dramma emozionale tra Hoover e Tolson sugli aspetti politici, assicurando al protagonista l'empatia del pubblico e insieme rimanendo fedele alla sua identità originaria. Con l'onestà estetica di chi non bara e non trucca perché sa che il trucco è già compreso nel mondo e nelle sue maschere, (s)mascherate da quelle senili di Leonardo DiCaprio, Armie Hammer e Naomi Watts, Clint Eastwood gira in costume una vicenda politica 'contemporanea'. Dentro una biografia emotivamente riservata e reticente, dietro una relazione a proprio agio negli interni, dove l'imbarazzo e la crescente attrazione divengono palpabili, dove un fazzoletto si fa vettore emotivo e fisico di una passione intercettabile, l'autore americano dimostra l'acume politico del suo cinema. Un cinema alla ricerca di un bagliore di innocenza nel cuore nero dell'America.

 
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.LeoPinto
view post Posted on 28/3/2012, 15:18     +1   -1




Act of Valor

Azione, durata 111 min. - USA 2012

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.LeoPinto
view post Posted on 9/4/2012, 16:13     +1   -1




Romanzo di una strage

Drammatico, durata 129 min. - Italia 2012

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Milano, dicembre 1969. Giuseppe Pinelli è un ferroviere milanese. Marito, padre e anarchico anima e ispira il Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa. Luigi Calabresi è vice-responsabile della Polizia Politica della Questura di Milano. Marito, padre e commissario segue e sorveglia le opinioni politiche della sinistra extraparlamentare. Impegnati con intelligenza e rigore su fronti opposti, si incontrano e scontrano tra un corteo e una convocazione. L'esplosione alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana, in cui muoiono diciassette persone e ne restano ferite ottantotto, provoca un collasso alla nazione e una tensione in quella ‘corrispondenza cordiale'. Convocato la sera dell'attentato e interrogato per tre giorni, Pinelli muore in circostanze misteriose, precipitando dalla finestra dell'Ufficio di Calabresi. Assente al momento del tragico evento, il commissario finisce per diventarne responsabile e vittima. Perseguitato con implacabile risolutezza dagli esponenti di Lotta Continua, ‘implicato' dalla Questura e abbandonato dai ‘dirigenti', continuerà a indagare sulla strage, scoprendo il coinvolgimento della destra neofascista veneta e la responsabilità di apparati dello Stato. Una promozione e un trasferimento rifiutati confermeranno la sua integrità, determinandone il destino.
È un film secco e pudico quello di Marco Tullio Giordana che mette mano (e cuore) su una delle pagine più tragiche della nostra storia recente. Come e insieme a Pasolini. Un delitto italiano, Romanzo di una strage è un film sulla morte, sulla morte al lavoro. Il regista milanese affronta una delle stragi più devastanti e destabilizzanti della nazione e vi cerca dentro il ‘senso' della vita di Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, assieme ai segni e alle tracce della nostra prematura morte civile. Perché in Piazza Fontana, sull'asfalto della questura di Milano e in Largo Cherubini non sono morti solo loro. In quella terra di nessuno della coscienza e della memoria sono caduti anche i sogni e le speranze degli anni Settanta.
Nella notte di Giordana, come in quella di Bellocchio, si muove la generazione che ha ucciso due padri e non è riuscita ad assumere e a fare propria la loro storia. Potenzialmente popolare, il cinema di Giordana prova ancora una volta a superare le rigidità ideologiche e a recuperare l'umanità del gesto, ricostruendo l'Italia di allora con scrupolo filologico (e giuridico) di grande rigore. Asciutto come un giallo ed essenziale come un courtroom drama, Romanzo di una strage dimostra con l'eloquenza dei fatti che non c'è stata giustizia e che la Legge dei tribunali si risolve troppo spesso in un'opera di rimozione.
Pronto a reinventare per il grande schermo paure e passioni, Giordana ribadisce la sua assoluta predilezione per il melodramma (lirico), di cui elude l'emotività iperbolica ma assume i ‘movimenti' musicali. L'opera, che accompagna la narrazione ‘in atti' e viene dichiarata ‘in scena' da un burocrate, è l' “Anna Bolena” di Gaetano Donizetti. Come la regina inglese, consorte ripudiata e ‘spinta' alla morte da Enrico VIII, Pinelli e Calabresi sono figure autenticamente tragiche, profondamente maltrattate, profondamente dolenti eppure sempre dignitose e nobili. Abile a scardinare l'omertà e a rompere pesanti silenzi, il regista ‘esplora' la materia drammatica di una nazione, guidando lo spettatore con assoluta empatia nella sofferenza di due uomini ostinati e contrari.
Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi hanno rispettivamente il volto di Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea, sorprendenti nel sottrarsi al rischio corso da un attore chiamato a interpretare un personaggio reale. Nessuna mimesi o impudica spavalderia nelle loro performance, piuttosto frammenti, intuizioni, visioni parziali di quei corpi nel teatro di un delitto senza castigo. ‘Romanzato' da Rulli e Petraglia e agito in pomeriggi declinanti e in interni da cui si esce in qualcosa che non sembra il mondo ma solo un altro interno, Romanzo di una strage semplifica, ‘interpreta' e agevola (la comprensione di) una strage impunita.
Nell'assurda e crudele immodificabilità delle cose, a due mogli-madri (Licia Pinelli e Gemma Calabresi nell'interpretazione misurata e composta di Michela Cescon e Laura Chiatti) appartiene altrimenti lo smottamento di tenerezza, restituito con una sciarpa calda e una cravatta bianca.

 
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.LeoPinto
view post Posted on 12/4/2012, 14:22     +1   -1




Diaz - Non pulire questo sangue
Drammatico, durata 120 min. - Italia 2012

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Luca è un giornalista della Gazzetta di Bologna (giornale di centro destra) che il 20 luglio 2001 decide di andare a vedere di persona cosa sta accadendo a Genova dove, in seguito agli scontri per il G8, un ragazzo, Carlo Guliani, è stato ucciso. Alma è un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri e ora, insieme a Marco (organizzatore del Social Forum) è alla ricerca dei dispersi. Nick è un manager francese giunto a Genova per seguire il seminario dell'economista Susan George. Anselmo è un anziano militante della CGIL che ha preso parte al corteo pacifico contro il G8. Bea e Ralf sono di passaggio ma cercano un luogo presso cui dormire prima di ripartire. Max è vicequestore aggiunto e, nel corso della giornata, ha già preso la decisione di non partecipare a una carica al fine di evitare una strage di pacifici manifestanti. Tutti costoro e molti altri si troveranno la notte del 21 luglio all'interno della scuola Diaz dove la polizia scatenerà l'inferno.
Fino a qui la parte iniziale del film a cui vanno fatti seguire dei dati che non sono cinema ma cronaca giudiziaria. Alla fine di quella notte gli arrestati furono 93 e i feriti 87. Dalle dichiarazioni rese dai 93 detenuti (molti dei quali oggetto di ulteriori violenze alla caserma-prigione di Bolzaneto) nacque il processo in seguito al quale dei più di 300 poliziotti che parteciparono all'azione 29 vennero processati e, nella sentenza d'appello, 27 sono stati condannati per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia, reati in gran parte prescritti. Mentre per quanto accaduto a Bolzaneto si sono avute 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata (in Italia non esiste il reato di tortura).
Gli elementi di cui sopra sono indispensabili per fare memoria su un episodio avvenuto in una scuola dedicata a colui che firmò il bollettino di guerra della vittoria nel 1918 è che è stata teatro della più grave disfatta del diritto democratico della nostra storia recente. Il film di Vicari si colloca all'interno del cinema di denuncia civile di cui Rosi e Lizzani sono stati maestri e che richiama, per la forza e la lucida coerenza della narrazione il Costa Gavras di Z- L'orgia del potere. Vicari non si nasconde dietro a nessun facile manicheismo come quello di chi tuttora considera i Black Block solo dei 'compagni che sbagliano'. Ne mostra in apertura le devastazioni e, così facendo, può permettersi di proporre un film che si muove su un piano eticamente elevato. Così come solo chi è in malafede potrà accusare Diaz - Non pulire questo sangue di essere 'contro la polizia'. E' sicuramente contro ma con l'opposizione e la denuncia di quel tumore che può pervadere (così come è accaduto) un'istituzione la cui finalità e quella di mantenere l'ordine democratico e non di esercitare violenza fisica e psicologica su chi ritiene di dover sottoporre a controlli o restrizioni di libertà. Dal punto di vista cinematografico poi questo è un film senza star. Ognuno ha il proprio ruolo che si immerge e riemerge come un corso d'acqua carsico nei gironi degli inferi di quella notte. Una notte da dimenticare diranno alcuni. Una notte da ricordare afferma con forza e rigore questo film. Perché fatti simili non accadano più.







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.LeoPinto
view post Posted on 16/4/2012, 10:59     +1   -1




To Rome With Love

Drammatico, - USA, Italia, Spagna 2012. - Medusa uscita venerdì 20 aprile 2012

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Dopo Londra, Barcellona e Parigi, Woody Allen ha scelto di ambientare il suo prossimo film in Italia. E più precisamente a Roma. A questo proposito il regista newyorkese, ormai prossimo agli ottant'anni, ha dichiarato: "Ogni volta è come fare una dichiarazione d'amore ad alcuni luoghi. Proietto sul grande schermo i miei sentimenti per i posti che contano nella mia vita. Spero di poter fare lo stesso con Roma".
Il Ministero per i beni culturali si è attivato per fornire ad Allen e alla sua troupe tutto il supporto logistico necessario e l'11 luglio sono iniziate le riprese nella capitale con un cast in gran parte italiano. Oltre a Penelope Cruz, Alec Baldwin, Ellen Page, Jesse Eisenberg, compaiono infatti tra gli interpreti Riccardo Scamarcio, Isabella Ferrari, Roberto Benigni, Sergio Rubini, Ornella Muti, Massimo Ghini, Antonio Albanese, Alessandra Mastronardi, Alessandro Tiberi e Flavio Parenti.
Il film, come un moderno Decamerone boccaccesco, dovrebbe consistere di vari episodi: in uno di questi Allen interpreterà un uomo che in viaggio a Roma con la moglie conoscerà l'uomo che sta per sposare la figlia. In un altro episodio Roberto Benigni vestirà i panni di Leopoldo, un tranquillo impiegato dalla vita ordinaria che verrà scambiato per un celebre attore (nelle scene girate alla Rai Benigni è stato intervistato dalla conduttrice del Tg3 Cristiana Palazzoni). Il segmento con Alec Baldwin vedrà un architetto californiano in viaggio a Roma con gli amici; mentre quello con Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi dovrebbe vedere i due ragazzi perdersi per la città in occasione di una visita ai parenti romani.



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.LeoPinto
view post Posted on 22/4/2012, 21:29     +1   -1




Il primo uomo

Drammatico, durata 98 min

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Lo scrittore Jean Cormery torna nella sua patria d'origine, l'Algeria, per perorare la sua idea di un paese in cui musulmani e francesi possano vivere in armonia come nativi della stessa terra. Ma negli anni '50 la questione algerina però è ben lontana dal risolversi in maniera pacifica. L'uomo approfitta del viaggio per ritrovare sua madre e rivivere la sua giovinezza in un paese difficile ma solare. Insieme a lui lo spettatore ripercorre dunque le vicende dolorose di un bambino il cui padre è morto durante la Prima Guerra Mondiale, la cui famiglia poverissima è retta da una nonna arcigna e dispotica. Gli anni '20 sono però per il piccolo Jean il momento della formazione, delle scelte più difficili, come quella di voler continuare a studiare nonostante tutte le difficoltà. Tornato a trovare il professor Bernard, l'insegnante che lo ha aiutato e sorretto, il Cormery ormai adulto ascolta ancora una volta la frase che ha segnato la sua vita: “Ogni bambino contiene già i germi dell'uomo che diventerà”.
Senza mezzi termini il miglior film di Gianni Amelio almeno dai tempi de Il ladro di bambini. Adattamento del romanzo di Albert Camus, Il primo uomo ripercorre a ritroso le vicende di un personaggio straordinario, silenzioso e deciso, che ricerca nel proprio passato anche doloroso le convinzioni che lo hanno portato ad essere ciò che è nel presente. Lo stile del regista è come sempre asciutto ed elegante, evita inutili infarcimenti estetici e si concentra sulla pulizia e sull'efficacia dell'inquadratura. Ogni primo piano su volti segnati dalla loro vicenda personale è preciso, giustificato, emozionante. In questo lo supporta alla perfezione la fotografia accurata ma mai espressionista di Yves Cape, tornato con questo lungometraggio ai livelli altissimi che gli competono. Anche la sceneggiatura alterna i piani temporali costruendo un equilibrio narrativo basato sulla vita interiore del personaggio principale, un'architettura narrativa complessa e sfaccettata che funziona a meraviglia. Poi ovviamente ci sono gli attori, tutti in stato di grazia. Jacques Gamblin possiede la malinconia e insieme il carisma necessari per sintetizzare al meglio l'anima di una figura complessa come Jean Colmery. Accanto a lui una schiera di volti che regalano dignità e verità a tutte le parti, anche le più piccole: su tutti vale la pena citare una sontuosa Catherine Sola nelle vesti della madre di Jean, interpretata in gioventù dalla brava Maya Sansa.
Un'opera raffinata e umanissima, in grado di rivendicare l'importanza della memoria non solo personale ma collettiva, una memoria che deve essere adoperata come strumento d'indagine delle contraddizioni del presente. Sotto questo punto di vista quindi un film che guarda al passato per farsi attuale e necessario. Cinema di qualità estetica elevata e d'importanza civile. Da applauso.

 
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.LeoPinto
view post Posted on 25/4/2012, 10:27     +1   -1




The Avengers

Azione, durata 140 min. - USA 2012

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Loki scende sulla Terra per impossessarsi del tesseract, un cubo asgardiano di inimmaginabile potenza, e ridurre così gli umani a suoi sudditi. Nick Fury, direttore dello S.H.I.E.L.D., decide quindi di chiamare all’appello i Vendicatori, una squadra di supereroi che non hanno mai combattuto insieme ma che rappresentano l’unica possibilità di salvare il pianeta dal disastro.
“Fai parte di un grande universo, ma ancora non lo sai” diceva qualche tempo e qualche film fa Nick Fury a Tony Stark, e ora questo universo si dispiega finalmente sotto i nostri occhi, guadagnandosi un successo promesso ma niente affatto scontato.
Le 500 uscite a (stelle e) strisce dei Vendicatori, in 48 anni, costituivano un bacino sufficientemente vasto da cui attingere in sede di sceneggiatura, da conciliare, però, con la necessità di esibire una continuità con i film recenti. Il copione di Joss Whedon, elaborato in presenza degli attori in nome di una sinergia che per essere credibile sullo schermo andava resa autentica fin dal principio e cioè dalla carta, ha il suo punto di forza nella scelta del super cattivo, Loki, fratellastro di Thor, ma fautore di un efficace effetto a catena. Lo lega, infatti, a Capitan America il possesso del cubo cosmico, mentre il super soldato è legato a sua volta a Hulk dal siero (sperimentato anche da Bruce Banner) e a Ironman dallo scudo, che il film – a differenza del fumetto- vuole forgiato da Howard Stark, padre di Tony. Loki è dunque al centro di una squadra che non è ancora tale ma che troverà il suo spirito di gruppo nella voglia di liberarsi di lui (ottima, in questo senso, la performance fastidiosa e mentalmente tarata di Tom Hiddleston), oltre che in un desiderio di vendetta che dovrebbe colpire dritto al cuore, anche se in questo caso la semina non è stata probabilmente all’altezza dell’effetto sperato.
Quasi fosse in possesso di un misurino magico, Whedon dosa la partecipazione dei singoli supereroi all’impresa comune con precisione inattaccabile, lasciando che Ironman abbia sempre l’ultima parola, com’è giusto che sia, per la natura del personaggio e per i crediti accumulati fin qui. Salverà l’umanità niente meno che da se stessa. Inoltre, sorprende positivamente la new entry di Mark Ruffalo nei panni del gigante verde: il suo Bruce Banner ha un look da giovane professore universitario di provincia ma dietro la sua timidezza si sente ribollire l’incontenibile segreto. Più rassegnato di Norton, quasi pacificato con la sua seconda essenza, l’Hulk di Ruffalo “spacca”, arrivando maturo sul set di Avengers come all’appuntamento con un destino segnato. Ma ciò che vale la pena di apprezzare maggiormente nel lavoro di Whedon, oltre al tono generale, divertito e convinto, è l’abilità con la quale ha saputo evitare il rischio più pericoloso, ovvero quello di non saper far seguire alla macrosequenza tanto attesa del reclutamento un finale di partita all’altezza. Proprio grazie a una confezione attenta del capitolo action gli scontri non si fanno noiosi e ripetitivi e il film vola nella sua pur notevole lunghezza.
Tra le piccole squisitezze del film, Pepper Potts troppo impegnata a guardare le gesta del suo eroe preferito sul monitor per rispondere alla chiamata d’emergenza.

 
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.LeoPinto
view post Posted on 13/5/2012, 19:39     +1   -1




Philadelphia

Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 119' min. - USA 1993

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Brillante avvocato di Philadelphia è licenziato per inefficienza e inaffidabilità dal prestigioso studio legale dove lavora. È una scusa, sostenuta con mezzi ignobili: in realtà hanno scoperto che è omosessuale e malato di Aids. Sostenuto dall'affettuosa famiglia e dal suo tenero compagno, difeso da un grintoso avvocato nero, fa causa agli ex datori di lavoro. 1ª produzione di alto costo (25 milioni di dollari) sull'Aids, è una lezione di tolleranza, una requisitoria sui pregiudizi, un'arringa contro l'ingiustizia affidata a uno straordinario T. Hanks, interprete simpatico e "leggero", e a D. Washington, l'avvocato che lo difende, fiero eterosessuale e a disagio con i gay, che a poco a poco disperde i suoi pregiudizi e le sue paure insieme a quelli dello spettatore. L'ottima sceneggiatura di Ron Nyswater affidata alla sobria regia di J. Demme diventa qualcosa di più di un onesto esempio di cinema civile: ne fanno testo alcune scene memorabili, la festa gay e la sequenza in cui Hanks ascolta Maria Callas in Andrea Chenier (4° atto) di Giordano, e la colonna musicale in cui Mozart, Spontini, Cilea, Catalani s'alternano a Bruce Springsteen, Peter Gabriel, Neil Young. Oscar a T. Hanks attore protagonista e a Springsteen per la canzone "Streets of Philadelphia".

 
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Aleksej Ivànovic
view post Posted on 13/10/2012, 12:56     +1   -1