FILM, il mondo del cinema su Zlatan is Zlatan

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Emme*
view post Posted on 18/1/2010, 17:30     +1   -1




E' stupendooooooooooooooooooooooooo T-T
 
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view post Posted on 18/1/2010, 17:31     +1   -1
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Leggenda

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Emme*
view post Posted on 18/1/2010, 17:31     +1   -1




Sìsì
 
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view post Posted on 18/1/2010, 17:32     +1   -1
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Leggenda

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A te non ne scappa uno di film sdolcinati..
 
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Emme*
view post Posted on 18/1/2010, 17:32     +1   -1




u.u
 
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il LEO
view post Posted on 27/1/2010, 14:28     +1   -1




L'amore sospetto - La moustache

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Marc un giorno decide di tagliarsi i baffi. Niente di eccezionale se non fosse per il fatto che li porta sin da quando era ragazzo. Si aspetta quindi che sua moglie Agnes commenti (positivamente o negativamente) il fatto. Invece nulla. Neppure le altre persone del suo entourage sembrano accorgersi del cambiamento. Nel momento in cui si decide a chiedere un parere gli viene detto che la domanda è assurda: lui non ha mai portato i baffi quindi... Inizia così una spirale di presunta follia che coinvolge in modo particolare la coppia. Agnes vuole farlo visitare da uno psichiatra. Lui si convince sempre più o che sia lei a non essere più in sé o che si tratti di un complotto ordito ai suoi danni. Un viaggio ad Hong Kong dovrebbe aiutarlo a fare chiarezza.
C'è un certo tipo di cinema francese che va consigliato a una ristretta fascia di pubblico. È un cinema che si avvale di attori davvero bravi e capaci di sostenere situazioni che, con altri al loro posto, sfiorerebbero il ridicolo. In questo caso Vincent Lindon ed Emmanuelle Devos appartengono a quel tipo di interpreti. È un cinema che però si avvita in un intellettualismo raffinato che finisce col creare quesiti tra lo psichico e il metafisico senza l'intenzione di risolverli. È un cinema che ha assolutamente bisogno della lingua con cui è stato concepito, cioè il francese. Da noi invece si doppia e l'effetto in gran parte si vanifica. Se poi si aggiunge che il film, dopo un primo tempo che riesce a costruire un buon livello di tensione, si perde in una peregrinazione hongkonghese che sembra essere messa lì solo per allungarne la durata e farlo passare dal medio al lungometraggio, allora la situazione si complica. Se poi ci aggiungete un titolo italiano assolutamente deviante rispetto all'originale (che è anche il titolo del libro che il regista aveva scritto una ventina di anni fa) il gioco è fatto. Portando a una valutazione che dovrebbe essere doppia: 3 stelle per l'interpretazione, 2 stelle per il risultato complessivo. Per rispetto nei confronti degli interpreti che debbono 'reggere' la storia opteremo per le 3.


 
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il LEO
view post Posted on 14/2/2010, 02:01     +1   +1   -1




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visto stasera!una figata pazzesca
 
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view post Posted on 14/2/2010, 02:20     +1   -1

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Philadelphia

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Andrew "Andy" Beckett (Tom Hanks) è un giovane e brillante avvocato gay di Filadelfia, ma viene licenziato dall'importante studio legale per il quale lavora perché malato di AIDS. Trova con grande difficoltà un avvocato, Joe Miller (Denzel Washington), che lo rappresenti nella causa che desidera intentare contro i cinque avvocati soci dello studio per il quale lavorava, convinto di aver subito una discriminazione ingiusta e crudele. Nel frattempo, Andrew viene completamente divorato dalla malattia che lo sta uccidendo. Attorno ad Andy, si stringono tutti i suoi affetti: la sua famiglia lo appoggia incondizionatamente e lo circonda di commovente tenerezza (in primis sua madre, interpretata da Joanne Woodward); il suo compagno Miguel (Antonio Banderas) lo assiste amorevolmente. La causa viene vinta giusto in tempo. La giuria condanna i soci al risarcimento di circa 4 milioni e mezzo di dollari. Andrew muore poco dopo, nella struggente scena finale, circondato da tutti i suoi amici e parenti, compreso il suo avvocato Joe Miller, commosso dalla sua vicenda.
Uno degli aspetti più singolari del film è la riflessione esistenziale: incomparabile è la scena in cui Andry, conscio del suo destino ma animato da un senso di giustizia e da una visione eroica della vita, conversando con Joe, sentendo un canto lontano che lentamente si espande, si lascia totalmente trasportare. È l’aria dell’Andrea Chenier “la mamma morta”, splendidamente eseguita da Maria Callas. In un profondissimo soliloquio, il protagonista esprime tutto il suo sentimento nello struggente sentimento che la musica gli infonde, dandoci forse la più bella interpretazione in assoluto del capolavoro di Umberto Giordano.
 
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il LEO
view post Posted on 28/2/2010, 01:39     +1   -1




Invictus - L'Invincibile

Un film di Clint Eastwood. Con Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng, Matt Stern.
Titolo originale Invictus. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 134 min. - USA 2009. - Warner Bros Italia uscita venerdì 26 febbraio 2010.

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Nelson Mandela è il presidente eletto del Sud Africa. Il suo intento primario è quello di avviare un processo di riconciliazione nazionale. Per far ciò si deve scontrare con forti resistenze sia dalla parte dei bianchi che da quella dei neri. Ma Madiba, come lo chiamano rispettosamente i suoi più stretti collaboratori, non intende demordere. C'è uno sport molto diffuso nel Paese: il rugby e c'è una squadra, gli Springboks, che catalizza l'attenzione di tutti, sia che si interessino di sport sia che non se ne occupino. Perché gli Springboks, squadra formata da tutti bianchi con un solo giocatore nero, sono uno dei simboli dell'apartheid. Mandela decide di puntare proprio su di loro in vista dei Mondiali di rugby che si stanno per giocare in Sudafrica nel 1995. Il suo punto di riferimento per riuscire nell'operazione di riunire la Nazione intorno alla squadra è il suo capitano François Pienaar.
Negli Stati Uniti all'uscita del film c'è chi ha affermato che il nome del protagonista si scriveva Mandela ma si pronunciava Obama. Chi la pensa così evidentemente non conosce nulla di Clint Eastwood. Clint è un repubblicano nel DNA, ha fatto campagna per McCain e attende gli esiti dell'Amministrazione democratica con una fiducia guardinga. Eastwood però è un conservatore illuminato e con il suo cinema ormai da tempo persegue una ricerca nel profondo degli elementi che possono, senza che nessuno perda la propria identità di base, provare a conciliare gli opposti. Lo ha fatto (solo per stare nel breve periodo) con Million Dollar Baby, con Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima e, in modo ancor più esplicito e rivolto al grande pubblico, con Gran Torino.
In Invictus trova in Mandela (e in un totalmente mimetico Morgan Freeman) una sorta di supporto storico alla sua ricerca. Ciò che racconta non è frutto della fantasia di uno sceneggiatore ma trae origine dai fatti narrati nel libro di John Carlin "Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation". Eastwood ne trae un film assolutamente classico sia per quanto riguarda lo stile visivo sia per quanto attiene ai due generi consolidati (biografia e cinema e sport) a cui fa riferimento. Si sente in lui e in Freeman la profonda ammirazione per Mandela con la consapevolezza (lo si dice anche a un certo punto facendo riferimento a una gaffe di una sua guardia del corpo a proposito della famiglia) del rischio dell'agiografia. Che viene sfiorato ma poi in definitiva evitato nel momento in cui si mostra come il desiderio di superare il devastante clima dell'apartheid parta dal cuore ma sia filtrato da uno sguardo razionalmente strategico. Mandela non è spinto dal sentimentalismo. I versi di "Invictus" imparati in prigione hanno rafforzato la tempra di un uomo che sa come raggiungere l'obiettivo rischiando in proprio ma sostenendo il rischio con una strategia ben definita. Lui che non sa granché di rugby non solo si tiene a fianco una sorta di trainer ma impara a memoria volti e nomi dei giocatori. Ha la fortuna di trovare in Pienaar un uomo che non dimentica di essere diventato un segno di divisione ma che non teme di mutare atteggiamento. La rudezza sul campo non è disgiunta dall'intuito e il modo in cui Eastwood ci mostra una partita di cui gli annali hanno già fissato l'esito sottolinea questa empatia. Due uomini, due squadre (gli Springboks e il ristretto staff presidenziale) e due ‘popoli' che compiono un primo, importante passo per iniziare a divenire una Nazione nel pieno e moderno senso del termine. Chi ha la parola ‘buonismo' sempre a portata di tastiera la sprecherà anche questa volta ricordando magari come in Sudafrica i problemi non siano tuttora completamente risolti. Dimenticando, al contempo, che ci sono film buonisti e buoni film. Invictus appartiene ai secondi.



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bello bello bello :tiprego: :occh:
 
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Berny™
view post Posted on 28/2/2010, 01:50     +1   -1




Codice Genesi



In principio Dio creò il cielo e la terra, poi l'uomo distrusse tutto. Eli è uno dei pochissimi sopravvissuti. Sono ormai trent'anni che da solo vaga in giro per quel che resta del suo paese con nello zaino solo il necessario per la sopravvivenza. Una maschera anti-gas, un improvvisato di arco da caccia, un machete, il necessario per il fuoco, un vecchio walkman a batterie, una borraccia quasi sempre vuota e l'ultima copia esistente della Sacra Bibbia, rilegata in pelle e chiusa da un lucchetto. Bruciata in ogni sua copia esistente perchè considerata una vera e propria arma puntata alla testa dell'umanità, causa della guerra che ha annientato tutto e tutti, la sacra scrittura è per Eli l'unico motivo di vita, la ragione che l'ha spinto ad iniziare un cammino solitario verso Ovest nel tentativo di giungere verso la civiltà, mettere al sicuro il messaggio di Dio e lasciarlo in eredità per le generazioni future. Una missione che Eli tenterà ad ogni costo di portare a compimento, come se il futuro nel mondo fosse nelle sue mani, perchè per salvarsi e ricominciare l'uomo ha sempre avuto bisogno di qualcosa in cui credere e a cui aggrapparsi nei momenti più difficili, quelli in cui tutto sembra perduto. Il mondo post-guerra atomica è un deserto desolante grigio e polveroso, popolato da bande di ladri e stupratori, un cumulo di macerie e di carcasse umane e meccaniche, un terreno arido squarciato da crateri, bruciato dai raggi di un sole malato che è penetrato con i suoi fendenti disintegrando ogni cosa. Non esistono regole, ovunque è morte e violenza, ci si uccide per cose che 'prima' si buttavano nella spazzatura. Tutto diventa merce di scambio: la scintilla di un accendino, un po' di energia elettrica, un tubetto di burro di cacao, un bicchiere d'acqua, un gioco per bambini, le salviettine umidificate, una scaglia di sapone. Il silenzio è squarciato dalle urla di qualche disperato, dalle scorribande degli sciacalli, da spari e solo raramente dal commovente vagito di qualche bambino. Ad un certo punto del suo cammino Eli non potrà esimersi dal confrontarsi con il male, incarnato da Carnegie, un despota spregevole e violento ossessionato dalla ricerca di un 'misterioso' libro, un uomo che ha perso ogni briciolo di umanità ed ha trascorso gli ultimi trent'anni a costruirsi un vero e proprio impero tra le rovine di una città abbandonata. Tutti guarderanno allo straniero con aria sospetta, senza neanche immaginare di cosa quell'uomo fiero dall'aria pacifica e tranquilla può essere capace. Ben presto tra i due esploderà una vera e propria guerra in nome dell'unico oggetto al mondo simbolo di speranza e portatore di un potere assoluto e indiscutibile. Vogliono entrambi la stessa cosa, per motivi diversi, ma a vincere sarà solo uno di loro...

 
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il LEO
view post Posted on 2/3/2010, 17:47     +1   -1




Come dio comanda

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In una landa desolata del Nord-Est Italia, tra cave di pietra, case sparse e anonimi centri commerciali, vivono un padre e un figlio. Rino Zena, disoccupato e ostinato, educa Cristiano, un adolescente timido e irrequieto che i compagni schivano e le ragazzine umiliano. Soli contro il mondo e contro tutti, hanno un solo amico: Quattro Formaggi, un disgraziato offeso da un incidente con i fili dell'alta tensione e ossessionato da Dio, dal presepio e da una biondissima pornodiva. Uniti da un amore viscerale, Rino e Cristiano tirano avanti un'esistenza orgogliosa che reagisce alla prepotenza del prossimo e all'ingerenza dei servizi sociali. Dentro una notte di pioggia e fango una ragazzina cambierà per sempre i loro destini. Gabriele Salvatores raccoglie per la seconda volta la sfida di Niccolò Ammaniti. Eppure non si tratta veramente di una sfida, piuttosto di un completamento, di uno sviluppo, di una naturale trasposizione dalle parole alle immagini. Il regista milanese si mantiene infatti sostanzialmente fedele al dettato del romanzo omonimo, con qualche minima variante e alcuni interventi chirurgici. La sua operazione consiste nel lasciarsi il tempo di trattare ciò che ha scelto di conservare e nell'evidenziare la natura “cinematografica” del libro.
Così dopo il viaggio verso la coscienza e la disubbidienza (all'ingiustizia) di Io non ho paura, Salvatores gira un('altra) favola nera, affollata di lupi, agnelli e bambine col cappuccio rosso, che procede in direzione contraria e parallela dentro un cono d'ombra e nella risonanza panica del paesaggio. Dopo essere andato a Sud, l'autore si sposta nel lontano e mitizzato Nord, palesandolo e rivelandone i tratti spaventosi. Un luogo di sassi e fango abitato da tre personaggi immersi in un sordo rancore nichilista, che si trascinano giorno dopo giorno tra voglia di integrazione e profonda insicurezza. Come dio comanda descrive le ferite e le miserie di “precari” dell'esistenza sgradevoli e violenti. Una tipologia impossibile da integrare che riesce a trasmettere lo strazio della propria condizione umana per la verità che esprime e che vive di espedienti in una realtà dove tutti sono diventati troppo ricchi. L'impetuoso padre di Filippo Timi porta in sé una ferita che i servizi sociali hanno diagnosticato ma che non si preoccupano di guarire. Nessuno lo protegge o lo sostiene nel quotidiano, nessuno gli offre una chance per uscire da un'esistenza impedita a ogni possibile normalità. Zena è un soggetto inaffidabile, costretto a lottare contro la logica implacabile di un assistente sociale che minaccia di togliergli il figlio, unica e reale possibilità d'amore, e il loro elementare diritto di essere una famiglia.
Poi, il lampo di un temporale infinito scatenerà un evento al di sopra delle loro possibilità, qualcosa di inatteso che ha il carattere del destino. Coniugando una tragedia privata con il non senso collettivo, Salvatores si pone il problema di come continuare a fare del cinema a partire dalla realtà e dalle sue storie, senza ricadere nell'ambiguità morale della mimesi del reale. Imprime quindi alle immagini uno sguardo etico, che rispetta la complessità dei corpi messi in scena e degli accadimenti di cui si fanno veicolo. Quest'ordine di considerazioni si produce come volontà di guardare il prima delle vite dei tre protagonisti, che sfocia nella tragedia quotidiana del loro durante.


 
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il Poltergeist
view post Posted on 3/3/2010, 19:19     +1   -1




Alice in wonderland

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nessuno va a vederlo?
 
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Boss®
view post Posted on 11/3/2010, 18:42     +1   -1




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You talkin' to me? You talkin' to me? You talkin' to me? Then who the hell else are you talkin' to? You talkin' to me? Well I'm the only one here. Who the fuck do you think you're talking to?
 
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Ibrakadabra_Style
view post Posted on 1/4/2010, 22:35     +1   -1




unico!
 
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il LEO
view post Posted on 2/6/2010, 15:52     +1   -1




Revolutionary Road

Drammatico, durata 119 min. - USA, Gran Bretagna 2008. - Universal Pictures uscita venerdì 30 gennaio 2009


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Revolutionary Hill, 1955. Frank e April Wheeler sono una giovane coppia middle class che coltiva noia e anticonformismo in un sobborgo benestante (e benpensante) di New York. April partecipa con modesti risultati alle recite della filodrammatica locale e Frank indugia in un lavoro ordinario in attesa di “trovare la sua strada” e il suo essere straordinario. Belli e colti, intelligenti e sofisticati, i Wheeler sono ammirati dai più ovvi vicini di casa e da un'inopportuna agente immobiliare. Nel privato, invece, la coppia prova a resistere all'amore finito e ai silenzi infiniti, alle notti bianche e ai bicchieri pieni. Frank inizia una squallida liaison impiegatizia, April si inventa una vita a Parigi, dove vorrebbe trasferire la sua famiglia e la sua inquietudine. L'idea romantica della fuga riaccende la passione nel talamo e la fiducia nel futuro ma la “rivoluzione” cova sulla Revolutionary road.
Ambientato a metà degli anni Cinquanta, nella provincia del Connecticut, immerso in colori, musiche, oggetti, toni e bigottismi dell'America più conservatrice e moralista, Revolutionary road è un (melo)dramma trasposto con ossessiva fedeltà dal romanzo omonimo di Richard Yates. Sam Mendes trasforma l'infiammabilità inesplosa e trattenuta di una giovane coppia di coniugi in un film che scoppia nel momento in cui sfiora la realtà. La Revolutionary road è percorsa da un'energia (in)controllata, che pulsa sotto la compostezza della messa in scena, suggerendo ciò che si deve assolutamente tacere. Dietro alla casetta a due piani, il giardino, l'automobile, due figli e un'agente immobiliare che racconta ai suoi clienti questa perfezione, c'è l'assordante tristezza che deriva dalla solitudine della protagonista, costretta a misurarsi con la mostruosa normalità che l'assedia dentro e fuori le mura domestiche. Soltanto il figlio folle e alienato della signora Givings intuisce la consunzione dell'amore coniugale e il deperimento della cartolina dentro la quale vivono i Wheeler, costretti a recitare in continuazione una sicurezza che non hanno. Saranno le sue parole prive di sfumature a incrinare la superficie levigata della loro vita, lasciando affondare sogni e ambizioni, sostegni e corazze, silenzi e ipocrisie.
Se American Beauty era pieno di stile e poco di vita, ridotta in realtà a una sua caricatura glamour, Revolutionary road si confronta con la crudezza della vita, lontano dal paradiso e in bilico sulla vertigine. Competente nel costruire estetiche che somigliano a racconti e a produrre emozioni legate alla cura della forma, questa volta Mendes si concentra anche sui contenuti. Scegliendo Richard Yates come territorio della sua analisi dell'America degli anni Cinquanta, Revolutionary road non è un salto indietro nel tempo compiuto con la consapevolezza degli anni trascorsi e delle rivoluzioni vissute, quanto una messa in discussione del presente attraverso uno sguardo già posato. I Wheeler di ieri sono uguali a quelli di oggi, soltanto meno consapevoli della propria mediocrità. Abitano un sogno (e una casa bianca) compromesso dal fallimento di relazione con l'altro ma soprattutto dall'impossibilità stessa di uscire fuori da sé. Frank e April, morbosamente addolorati e incapaci di amarsi un'altra volta, rappresentano con estrema chiarezza la crisi dell'individuo nella società e permettono allo spettatore di riflettere sulla farraginosa complicatezza della vita affettiva. Leonardo Di Caprio e Kate Winslet scivolano sulla colta superficie delle immagini, colorando i segni invisibili eppure percepibili di un fallimento che annulla la volontà e nega il desiderio. Dopo l'amore smisurato sulla prua del Titanic Rose/April e Frank/Jack naufragano sulla Revolutionary road, dove sperimentano la vertigine del guardarsi negli occhi, prima di sprofondare, di nuovo soli, nel fondo dell'abisso.

 
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507 replies since 28/12/2006, 01:57   3402 views
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