Real Madrid-Manchester City 3-2: come si guida una Ferrari?
L’Inter in Champions League in questa stagione sono loro. Roberto e Josè (non Manchester City e Real Madrid, neppure Maicon ripetutamente in difficoltà e Balotelli in tribuna), due allenatori, personaggi, leggende tra le più vincenti e amate della nostra storia.
La musichetta che tanto ci manca ieri l’abbiamo ascoltata con partecipazione e, perchè no, orgoglio: di averli avuti, di aver gioito e pianto insieme a loro, di aver lottato contro tutto e tutti, di essere stati una pietra miliare delle loro già lunghe e ricche di successi carriere.
Per uno strano gioco del destino, non solo sono capitati nello stesso girone eliminatorio (comprendente anche i coronati di Germania e Olanda),ma hanno anche aperto la competizione al Santiago Bernabeu in una sfida affascinante, elettrica, intensa ed emotivamente straordinaria.
Mentre a Milano in contemporanea andava in scena in uno scenario desolante e depresso l’ennesima prestazione sconfortante dei rossoneri e a Parigi la Nazionale di Lega della ex serie A debuttava con una parata trionfale sui Campi Elisi, a Madrid si assisteva a uno di quegli eventi che ti riconciliano con questo sport.
Tattica, tecnica, agonismo, sorprese, contropiede, possesso palla, errori, velocità, idee e tanti giovani campioni. Il calcio di oggi è questo e questo dovrebbe essere a tutti i livelli (con interpreti naturalmente meno bravi e meno pagati).
Per dirla alla Mancini, in pista c’erano due Ferrari: una pilotata da un portoghese e una da un italiano. Non ci sono grandi differenze di motore, gomme e telaio tra i due bolidi, la differenza l’ha fatta lo stile di guida dei due al volante.
Uno conduce la gara fin dallo start, fa il ritmo, cerca continuamente l’allungo, spinge sull’acceleratore, impegna l’avversario allo stremo.
L’altro fatica a stare a ruota, non si fa quasi mai vedere negli specchietti, non tenta mai il sorpasso, si limita ad aspettare l’errore e, semmai, a sperare che le gomme nuove (Dzeko, Kolarov) siano più performanti.
L’errore puntualmente capita perchè è spesso impossibile mantenere alta la concentrazione per tutto il trip.Difesa alta e scoperta, Yaya Tourè inarrestabile nella sua percussione e assist per il panzer tedesco che piaceva alla Juve.
La monoposto Real però non si fa staccare, il suo pilota la carica e spinge ancora all’attacco per affiancarla nel rettilineo conclusivo una, anzi due volte (Marcelo prima, Benzema poi) perchè su una chicane velenosa si fa sorprendere da un altro sorpasso alquanto casuale.
Poi all’ultima curva, con una manovra di grande classe, talento e coraggio (Ronaldo), la infila e taglia il traguardo nel tripudio degli spettatori sugli spalti e davanti alla tv in tutto il mondo.
Caro Mancio, hai meno esperienza di Mourinho, ma quel che ancora non hai capito è che una Ferrari si guida anche con il cuore spingendola oltre i propri limiti (Schuamacher e Alonso per il Cavallino per restare in tema). La tua Inter e la prima Inter del Mou non erano automobili da vertici europei, ma neppure quella del Triplete all’inizio lo era. E’ stato il pilota a trasformarla, a renderla competitiva, invincibile e indistruttibile.
Il 4231 di ieri sera era in realtà un 451 in cui gli interpreti offensivi hanno aiutato poco o nulla in fase di non possesso perchè o non ne hanno le caratteristiche (Silva) oppure perchè sono naturalmente portati verso il centro a inventare (Nasri). Con il 442 (e due punte) ha avuto più profondità e migliore copertura degli spazi, ma non ha mai preso l’iniziativa nè ci è andato vicino.
Quando è diventata una corrida, quando si è liberato dal tatticismo frenante degli istinti dei suoi campioni, almeno ha partecipato allo spettacolo. Salvo poi cedere all’ultima curva per colpa del numero di un singolo (Tevez non sarà mai Ronaldo) e per il maggior spirito di squadra infuso da Mou.
Sul fuoriclasse si può lavorare, sui limiti di carisma del pur bravissimo Robi non so.
SIMONE NICOLETTI
http://www.fabbricainter.com/2012/09/19/re...da-una-ferrari/